Non me l’aspettavo, lo ammetto. Dopo quindici anni passati a controllare posizioni su Google, mi ritrovo a scrivere quello che potrebbe essere l’epitaffio del monitoraggio delle parole chiave come lo conosciamo.
Google ha tirato fuori un colpo da maestro che sta mandando in tilt l’intero settore: ha eliminato il parametro num=100, quello che permetteva di vedere 100 risultati per ogni ricerca.
Sembra una cosa tecnica da addetti ai lavori, vero? Ma vi assicuro che le conseguenze sono enormi. Stiamo parlando della fine di un’era e dell’inizio di qualcosa di completamente diverso.
Google dichiara guerra al controllo delle posizioni
Facciamo un passo indietro per chi non mastica pane e SEO tutti i giorni.
Il monitoraggio delle parole chiave – chiamato anche rank tracking – è quella attività che consiste nel controllare dove si posiziona un sito web nei risultati di Google per determinate keyword.
Fino a poco tempo fa, tutti gli strumenti di controllo delle keyword si basavano su un trucchetto: aggiungevano “num=100” alle ricerche di Google per vedere 100 risultati invece dei soliti 10. Questo permetteva di scansionare efficacemente le posizioni e di creare quei bei grafici che mostravano l’andamento nel tempo.
Google ha deciso di chiudere i rubinetti. Ha disattivato questo parametro, costringendo chi fa monitoraggio delle parole chiave a una scelta impossibile: o scansioni 10 volte di più (aumentando i costi in modo insostenibile) oppure ti accontenti di monitorare solo le prime 20 posizioni.
La reazione del settore: tra resistenza e rassegnazione
Mike Roberts, il fondatore di SpyFu, ha reagito come un guerrigliero digitale:
“stiamo lottando per mantenerlo in vita. Ma questo è un duro colpo: fornire questi dati è diventato molto costoso. Potremmo anche perdere soldi nel tentativo di farlo… ma ci proveremo comunque.”
Ha dipinto la situazione come una battaglia epica: SpyFu contro il gigante di Mountain View. Una guerra che però sanno già di non poter vincere a lungo termine.
Dall’altra parte Tim Soulo, il CMO di Ahrefs (uno degli strumenti di tracking delle keyword più usati al mondo), è stato più pragmatico.
Su Twitter ha scritto:
“aumentare di 10 volte l’estrazione dei dati non è fattibile, data la portata a cui operano tutti gli strumenti SEO.”
La sua analisi è spietata ma realistica:
- Top 10: è dove si concentra tutto il traffico, assolutamente da non perdere;
- Top 20: dove si trova l'”opportunità”, indispensabile anche questa;
- Posizioni 21-100: secondo Tim, indica solo che una pagina è “indicizzata” da Google, nient’altro.
Perché le posizioni oltre la seconda pagina sono quasi inutili
Tim Soulo ha centrato il punto. Chi di voi si ricorda l’ultima volta che è andato oltre la seconda pagina di Google? Esatto, praticamente mai.
La verità scomoda è che qualsiasi posizione oltre la 20esima indica sostanzialmente la stessa cosa: il tuo contenuto ha problemi gravi di qualità o pertinenza. Non importa se sei 21esimo o 91esimo, il risultato pratico è identico: invisibilità totale.
La differenza tra essere in seconda pagina e nel limbo
C’è però una differenza importante tra essere in seconda pagina (posizioni 11-20) e sprofondare oltre. Le posizioni in seconda pagina forniscono informazioni utili: mostrano che una pagina è pertinente per una parola chiave, ma che i siti sopra di lei sono migliori in termini di qualità, esperienza utente o autorevolezza.
Spesso ho visto contenuti in seconda pagina che erano validi quanto quelli in prima, ma mancavano di quel qualcosa in più che li faceva preferire dagli utenti. È la differenza tra “quasi pronto” e “completamente fuori strada”.
I dati di Search Console erano falsati (e ora lo sappiamo)
Ecco la parte che mi ha colpito di più. Tyler Gargula, un esperto SEO che ha analizzato oltre 300 proprietà di Search Console, ha scoperto che l’87,7% dei siti ha subito cali nelle impression da quando Google ha bloccato il parametro num=100.
Pensateci: le impression sono il numero di volte che Google mostra una pagina nei risultati di ricerca. Se calano improvvisamente dopo il blocco del parametro, significa che gli strumenti di rank tracking stavano “gonfiando” artificialmente questi dati con le loro scansioni continue.
Tyler ha fatto un’analisi illuminante:
- Lunghezza delle parole chiave: le parole chiave corte e medie hanno registrato i maggiori cali di impressioni. Questo perché sono le più monitorate dagli strumenti SEO e quindi le più “inquinate” dalle scansioni automatiche;
- Distribuzione delle posizioni: c’è stata una riduzione delle keyword posizionate oltre la terza pagina e, conseguentemente, un aumento di quelle nelle prime posizioni. I dati ora sono più rappresentativi della realtà effettiva.
In pratica, per anni abbiamo guardato dati distorti senza rendercene conto.
Google assume ingegneri anti-scraping
Il blocco del parametro num=100 è solo l’antipasto.
Google sta reclutando ingegneri specializzati nell’analisi statistica dei pattern delle SERP e nello sviluppo di modelli per contrastare gli scraper.
Tradotto: stanno costruendo un esercito digitale per combattere chi cerca di estrarre dati dai loro risultati di ricerca. È una escalation che ricorda un po’ la corsa agli armamenti della Guerra Fredda, ma in versione tech.
L’ironia è che questa guerra sta danneggiando i dati di Search Console, rendendo più difficile per i consulenti SEO ottenere letture accurate delle performance. Google sta combattendo una battaglia che rischia di ferire anche i suoi stessi utenti legittimi.
Due scenari per il futuro del monitoraggio delle posizioni
Davanti a noi si aprono due strade molto diverse.
Scenario 1: il rank tracking di sopravvivenza
Alcuni provider cercheranno di resistere a tutti i costi, sviluppando metodi sempre più creativi per estrarre i dati. Sarà una corsa continua per stare un passo avanti alle contromisure di Google.
Il risultato? Costi molto più alti per dati sempre meno affidabili. Solo le aziende con budget sostanziosi potranno permettersi un controllo posizioni SEO completo, mentre piccole e medie imprese dovranno accontentarsi di dati parziali.
Scenario 2: la rivoluzione dei primi 20
L’alternativa più realistica è accettare il nuovo paradigma: concentrarsi esclusivamente sulle prime 20 posizioni e sviluppare metriche più sofisticate per interpretare i dati.
Invece di inseguire posizioni irrilevanti oltre la seconda pagina, potremmo finalmente concentrarci su quello che conta davvero: intercettare le query che portano traffico reale e conversioni concrete.
Perché questo cambiamento potrebbe essere positivo per la SEO
So che può sembrare paradossale, ma la fine del rank tracking tradizionale potrebbe essere una benedizione travestita.
Per troppi anni ci siamo fissati su metriche di vanità: “siamo primi per 500 parole chiave!” Sì, ma se 480 di quelle parole chiave sono in posizioni che nessuno vede mai, che valore hanno realmente?
Il ritorno all’intento di ricerca e alla qualità
Senza la possibilità di monitorare facilmente centinaia di posizioni irrilevanti, saremo costretti a concentrarci su quello che conta:
- Analisi dell’intento di ricerca: capire cosa vogliono davvero gli utenti;
- Qualità dei contenuti: creare risorse che risolvano problemi reali;
- User experience: ottimizzare per chi usa davvero il sito, non per i bot;
- Conversioni: misurare il business reale, non solo il traffico.
Gli strumenti di rank tracking si stanno già adattando
Non tutti stanno aspettando che il cielo cada loro addosso.
I migliori software monitoraggio posizioni stanno già evolvendo verso approcci più sofisticati.
Alcuni stanno sviluppando sistemi di analisi delle SERP che vanno oltre il semplice numero di posizione, considerando elementi come:
- Presenza di snippet in evidenza;
- Spazio visivo occupato nella pagina;
- Probabilità di click reale;
- Analisi della concorrenza effettiva.
Altri si stanno concentrando sull’integrazione con Search Console e Google Analytics per fornire un quadro più completo delle performance, senza dipendere esclusivamente dalle scansioni esterne.
Cosa significa per chi fa SEO oggi
Se fate SEO professionale o gestite siti web, questo cambiamento vi toccherà direttamente.
Ecco cosa dovete aspettarvi:
- Costi più alti per il monitoraggio completo: chi vorrà continuare a tracciare posizioni oltre la 20esima dovrà pagare molto di più.
- Focus sulle prime posizioni: gli strumenti si concentreranno sempre più sulle prime 20 posizioni, che sono quelle che contano davvero.
- Metriche più sofisticate: invece del semplice “sei in posizione X”, avremo analisi più complesse che considerano traffico, conversioni e contesto competitivo.
- Maggiore importanza di Search Console: con dati di terze parti meno affidabili, i dati first-party di Google diventano ancora più preziosi.
L’ironia della situazione
C’è qualcosa di ironico in tutto questo.
Google ha sempre predicato l’importanza di creare contenuti per gli utenti, non per i motori di ricerca.
Eppure, per anni, l’intero settore si è concentrato su metriche SEO che interessavano solo a noi addetti ai lavori.
Ora ci troviamo costretti a fare quello che Google suggeriva da sempre: concentrarci su cosa funziona davvero per gli utenti reali.
Forse non è un caso che questa stretta arrivi proprio ora, in un momento in cui l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il modo in cui le persone cercano informazioni online. Google sa che il futuro della ricerca è diverso, e forse sta semplicemente accelerando una transizione inevitabile.
Verso un nuovo modello di misurazione
Il rank tracking non morirà completamente, ma si evolverà in qualcosa di più maturo e strategico. Invece di contare posizioni come fossero punti in un videogame, impareremo a misurare l’impatto reale sui nostri obiettivi di business.
Sarà un settore più piccolo ma più professionale, dove sopravviveranno solo gli strumenti che offrono valore reale, non solo numeri che fanno sentire bene i clienti.
La vera domanda è: siete pronti ad abbandonare le metriche di vanità per concentrarvi su quello che conta davvero? Perché, volenti o nolenti, questo è il futuro che ci aspetta.