Ho avuto modo di seguire la SEO for Paws Conference qualche giorno fa – sì, quella raccolta fondi in streaming organizzata da Anton Shulke – e sono rimasto particolarmente colpito dall’intervento di Martin Splitt di Google (clicca sul link per guardare il video).
Da anni mi occupo di ottimizzazione per i motori di ricerca, eppure le sue riflessioni mi hanno fatto ripensare ad alcuni aspetti che davo per scontati.
Splitt ha messo in luce tre errori piuttosto comuni legati a JavaScript che possono compromettere seriamente il posizionamento SEO di un sito web.
Il suo intervento arriva in un momento interessante, considerando che anche John Mueller (altro nome conosciuto in ambito Google) sta spingendo noi consulenti SEO a familiarizzare maggiormente con le moderne tecnologie lato client.
Ma andiamo con ordine. Quali sono questi 3 errori SEO e, soprattutto, come possiamo risolverli?
Vediamo il primo.
HTML renderizzato vs. HTML sorgente: un equivoco costoso
Il primo errore che Splitt ha evidenziato mi ha fatto sorridere, perché ci sono cascato anch’io più volte.
Molti di noi continuano a concentrarsi sul codice sorgente originale del sito web per le analisi SEO.
Il problema? Google non usa quello per l’indicizzazione, ma utilizza l’HTML renderizzato.
“Molte persone guardano ancora la sorgente di visualizzazione. Non è quello che usiamo per l’indicizzazione. Usiamo l’HTML renderizzato,” ha spiegato Splitt durante la conferenza.
La differenza è sostanziale e potrebbe spiegare parecchie incongruenze nelle vostre analisi.
L’HTML renderizzato è ciò che si ottiene dopo che JavaScript ha fatto il suo lavoro sul codice originale, modificando, aggiungendo o rimuovendo contenuti.
Ignorare questo passaggio significa sostanzialmente analizzare una versione del sito diversa da quella che Google sta effettivamente indicizzando.
Mi è capitato di lavorare con un cliente che non capiva perché il suo contenuto principale non venisse indicizzato correttamente. Dopo ore di analisi, ci siamo accorti che JavaScript stava rimuovendo alcuni elementi molto importanti durante il rendering.
Una sciocchezza in retrospettiva, ma che ci è costata settimane di posizionamento.
Pagine di errore: quando un codice 200 è peggio di un 404
Il secondo errore che Splitt ha sottolineato riguarda le pagine di errore, specialmente nei siti che utilizzano applicazioni a pagina singola o fanno ampio uso di JavaScript.
Questi siti spesso restituiscono un codice di stato 200 OK per le pagine di errore invece di un appropriato 404. Perché succede? Semplicemente perché il server invia una risposta 200 prima che JavaScript possa verificare se la pagina richiesta esiste davvero.
“Invece di rispondere con 404, risponde semplicemente con 200… mostrando sempre una pagina basata sull’esecuzione di JavaScript,” ha spiegato Splitt.
La conseguenza è che Google finisce per indicizzare queste pagine di errore come se fossero pagine normali, danneggiando la qualità complessiva del sito agli occhi dell’algoritmo.
Ancora peggio, potreste ritrovarvi con decine o centinaia di pagine inutili che diluiscono il valore delle pagine importanti.
Ricordo un progetto in cui abbiamo ereditato un sito che aveva oltre 200 “pagine fantasma” indicizzate solo perché restituivano 200 invece di 404. Dopo aver sistemato i codici di stato, il traffico organico è aumentato del 30% in due mesi, senza cambiare nessun altro aspetto del sito.
Geolocalizzazione: quando Googlebot dice sempre “no”
Il terzo problema, e probabilmente quello più subdolo, riguarda le richieste di geolocalizzazione.
Molti siti chiedono agli utenti la loro posizione o altri permessi per fornire un’esperienza personalizzata.
Ma come ha sottolineato Splitt, c’è un problema:
“Googlebot non dice sì a quel popup. Dice no a tutte queste richieste… quindi se richiedi la geolocalizzazione, Googlebot dice no.”
Se non avete previsto un piano B, Googlebot potrebbe trovarsi davanti a una pagina praticamente vuota. E indovinate cosa indicizzerà? Esatto, niente. O peggio, un messaggio di errore.
Mi è capitato di lavorare con un sito di e-commerce che mostrava prodotti diversi in base alla posizione dell’utente.
Peccato che Google indicizzasse solo la versione base senza prodotti, perché il bot rifiutava sempre la richiesta di geolocalizzazione. Una volta implementato un contenuto di fallback, il traffico è cresciuto notevolmente.
Come debuggare efficacemente questi problemi
Fortunatamente, Splitt non si è limitato a evidenziare i problemi, ma ha anche condiviso alcuni consigli pratici per individuarli e risolverli:
- Iniziate sempre dalla Search Console, utilizzando lo strumento di Controllo URL per visualizzare l’HTML renderizzato.
- Verificate attentamente se il contenuto che vi aspettate sia effettivamente presente.
- Esaminate i codici HTTP nella sezione “Ulteriori informazioni” > “Risorse”.
- Sfruttate gli Strumenti per sviluppatori del vostro browser, prestando particolare attenzione alla colonna “iniziatore” nella scheda Rete.
“L’iniziatore è ciò che lo ha caricato. Se è iniettato da JavaScript, puoi vedere quale parte del codice lo ha fatto,” ha spiegato Splitt, fornendo un consiglio prezioso per chi si trova a dover collaborare con team di sviluppo.
Cosa significa concretamente per noi consulenti SEO
Entrambi gli advocate di Google indicano una tendenza chiara: la SEO richiede sempre più competenze tecniche. Le aziende cercano professionisti in grado di unire ottimizzazione e sviluppo web, e la domanda di queste competenze è in costante crescita.
Per rimanere competitivi, occorre sempre:
- Approfondire come JavaScript influisce sull’indicizzazione, comprendendo bene la differenza tra HTML sorgente e renderizzato.
- Diventare esperti nell’uso di strumenti diagnostici come Search Console e gli strumenti per sviluppatori.
- Imparare a collaborare efficacemente con gli sviluppatori per creare siti che funzionino sia per gli utenti che per i motori di ricerca.
- Ampliare le nostre competenze, aggiungendo tecniche lato client al tradizionale toolkit SEO.
L’ho sperimentato sulla mia pelle: i clienti che ottengono i migliori risultati sono quelli per cui riesco a creare un ponte tra SEO e sviluppo, parlando entrambe le lingue.
Man mano che il web si evolve, dobbiamo evolverci anche noi. Non è necessario diventare sviluppatori full-stack, ma comprendere le basi di come JavaScript influisce sul rendering e sull’indicizzazione è ormai imprescindibile.
In fin dei conti, la SEO moderna somiglia sempre più a un puzzle interdisciplinare. E come dimostra l’analisi di Splitt, anche semplici accorgimenti possono fare la differenza tra l’invisibilità e le prime posizioni nei risultati di ricerca.
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