Ricordo la chiamata disperata di un cliente che aveva appena completato la migrazione di un sito web da un dominio storico a uno nuovo. “Il traffico è sparito da un giorno all’altro,” mi disse con la voce tremula. “È sicuramente colpa della migrazione che ho fatto con il consulente SEO (nome nascosto).”
Quella storia mi è tornata in mente quando John Mueller di Google ha recentemente analizzato un caso simile su Bluesky, mostrando con la sua solita precisione chirurgica perché spesso ci sbagliamo nell’identificare le vere cause di un crollo post-migrazione di un sito internet.
Il caso che ha fatto riflettere tutti
Un editore aveva migrato il suo sito educativo da javatpoint.com a tpointtech.com e – sorpresa! – si era ritrovato con una deindicizzazione quasi totale. La correlazione temporale sembrava lampante: migrazione = crollo del traffico. Caso chiuso, no?
Macché. Mueller ha tirato fuori dal cilindro una di quelle mosse che ti fanno pensare “ecco perché è lui il boss di Google.” Ha suggerito di fare una ricerca su Bing con questa query:
site:tpointtech.com sexy
E boom. Fuori sono saltati decine di articoli su “top ten list” di celebrità indiane. Su un sito che dovrebbe parlare di programmazione Java.
Già, perché il problema non era la migrazione sito web in sé. Era quello che si erano portati dietro dal vecchio dominio: tonnellate di contenuti completamente fuori tema. Prima di fare la migrazione avrebbero dovuto ripulire i vecchi contenuti ed eliminare quelli deboli.
L’errore che fanno tutti
Qui sta il punto importante – e ammetto che anch’io ci sono cascato qualche volta in passato. Quando vediamo una correlazione temporale così evidente, tendiamo a fermare l’indagine alla causa più ovvia. Migrazione sito WordPress o migrazione sito Prestashop che sia, se il traffico crolla subito dopo, la colpa deve essere del cambio dominio, giusto?
Sbagliato.
La migrazione era solo il trigger, non la causa. Tipo quando ti viene il mal di testa dopo aver guardato la tv per ore – non è la tv il problema, è che hai dimenticato di indossare gli occhiali da vista anti riflesso o comunque hai esagerato.
Nel caso analizzato da Mueller, i contenuti irrilevanti esistevano già sul dominio originale. Ma erano “protetti” dalla reputazione consolidata del vecchio sito. La migrazione di un sito ecommerce (o educativo, in questo caso) aveva costretto Google a rivalutare tutto da capo, ed è lì che sono emersi i veri problemi.
Come Google vede davvero i contenuti fuori tema
Quello che mi ha colpito di più dell’analisi di Mueller è stata la precisione nel diagnosticare il problema.
Non si è limitato a dire “contenuti di bassa qualità” – ha spiegato perché Google considera problematici contenuti che, tecnicamente, potrebbero anche essere ben scritti.
Non bisogna puntare solo sulla qualità dei contenuti. È l’intento dietro la creazione di quei contenuti che è importante.
Un sito che parla di Java e pubblica liste delle “attrici più sexy di Bollywood” tradisce chiaramente una strategia “made for search engines” – creare contenuti solo per generare traffico, non per essere utili agli utenti.
Immagina di avere un ristorante giapponese che improvvisamente inizia a servire pizza, hamburger e piatti brasiliani. Molto fusion. Magari il cibo è buono, ma gli avventori si confondono. E Google si comporta esattamente come quegli avventori perplessi.
Il trucco di Bing
Una delle chicche dell’intervento di Mueller – e qui devo dire che è stato geniale – è stato usare Bing per questa piccola SEO Audit. Perché Bing continua a indicizzare contenuti che Google ha deciso di ignorare?
La differenza tra i due motori può essere illuminante per capire dove abbiamo sbagliato. Se Bing indicizza un sito e Google no, probabilmente c’è un problema di qualità o rilevanza che il nostro occhio umano non riesce a cogliere.
Ho iniziato a usare questa tecnica nelle mie analisi post-migrazione e devo dire che spesso rivela sorprese sgradevoli. Contenuti che pensavo fossero innocui si rivelano essere vere e proprie bombe a orologeria per la SEO.
I costi nascosti di una migrazione mal pianificata
Parliamo di soldi, perché alla fine è quello che interessa di più. Il costo della migrazione di un sito internet non si limita alle spese tecniche per il trasferimento.
Quando una migrazione va male, i costi indiretti possono essere devastanti:
- Perdita di traffico organico (spesso -50% o più);
- Calo delle conversioni;
- Necessità di ricostruire l’autorità del dominio;
- Tempo aggiuntivo per pulire contenuti problematici.
Nel caso analizzato da Mueller, il sito si è ritrovato a dover fare un lavoro di pulizia che probabilmente richiederà mesi. E tutto questo si poteva evitare con un audit pre-migrazione più approfondito.
Quando gestisco una migrazione di un sito WordPress o la migrazione di un sito Prestashop, dedico sempre almeno il 30% del budget alla fase di audit e pulizia dei contenuti. Sembra uno spreco, ma vi assicuro che è l’investimento più redditizio che possiate fare.
Le performance passate non garantiscono quelle future
C’è una tendenza pericolosa tra chi gestisce i siti web: pensare che se qualcosa ha funzionato fino a ieri, continuerà a funzionare anche domani.
I contenuti irrilevanti del sito analizzato da Mueller esistevano da tempo sul dominio originale senza creare problemi evidenti. Ma erano un problema latente, una bomba in attesa di esplodere.
La migrazione del sito web è stata semplicemente il momento in cui Google ha deciso di ricontare le carte. E si è accorto che il mazzo era truccato.
Questo mi fa riflettere su quanti siti là fuori stanno giocando con il fuoco senza saperlo. Contenuti marginali che magari non danno problemi oggi, ma potrebbero diventare un incubo domani. Da poco ugualmente ho analizzato il sito di un ecommerce sardo che vende prodotti tipici. Si è affidato a uno sviluppatore – senza conoscenze SEO – e il sito ha perso tutto il traffico. In questo caso lo sviluppatore ha ignorato i redirect, ha ignorato la struttura dei link interni e altre cose che purtroppo hanno fatto sprofondare il sito. Quello che consiglio a tutti gli imprenditori o aziende è affidare la migrazione di un portale a un esperto SEO. Un errore del genere può costare migliaia se non milioni di Euro.
Come evitare il disastro: checklist pre-migrazione
Dopo aver visto troppi casi come questo, ho sviluppato una checklist che uso sempre prima di qualsiasi migrazione ecommerce o altro tipo di progetto:
- Audit dei contenuti fuori tema: cerco tutti i contenuti che non c’entrano nulla con il tema principale del sito. Li rimuovo o li trasferisco su domini dedicati.
- Analisi dell’intento: per ogni categoria di contenuti mi chiedo: “Perché abbiamo creato questo? È davvero utile per i nostri utenti?”
- Test con operatori di ricerca: uso query come site:dominio.com [keyword_problematica] per scovare contenuti potenzialmente problematici.
- Verifica delle URL: controllo se tutte le URL verranno trasferite correttamente e, in caso contrario, preparo i redirect;
- Valutazione della coerenza tematica: verifico che tutte le sezioni del sito abbiano un filo logico che un utente possa comprendere.
L’evoluzione dell’algoritmo di Google
Quello che è successo nel caso analizzato da Mueller riflette un’evoluzione più ampia di Google. L’algoritmo è diventato sempre più bravo a capire l’intento dietro i contenuti, non solo la loro qualità tecnica.
Non basta più scrivere bene. Bisogna scrivere con un proposito chiaro e coerente con l’identità del sito.
Conclusione
Il caso analizzato da Mueller ci insegna una lezione fondamentale: quando facciamo la migrazione di un sito web e il traffico crolla, la migrazione potrebbe non essere la vera causa del problema.
Ecco perché, prima di ogni migrazione, consiglio di dedicare sempre più tempo all’analisi che all’esecuzione tecnica. Perché un trasferimento tecnicamente perfetto può comunque trasformarsi in un disastro se non abbiamo fatto i compiti a casa per quanto riguarda la qualità e la coerenza dei contenuti.
La prossima volta che vedete un crollo post-migrazione, ricordatevi del caso di javatpoint.com: scavate più a fondo. La vera causa potrebbe essere nascosta in bella vista.
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