Ricordo quando, circa un anno fa, parlando con un cliente del settore farmaceutico, mi disse:
“non ci capisco più niente. Un giorno siamo primi su Google, il giorno dopo ChatGPT non ci menziona nemmeno.”
Quella conversazione mi è rimasta impressa perché rappresentava perfettamente il disorientamento che molti brand stanno vivendo.
L’intelligenza artificiale ormai non viene più vista come un tool di supporto – è diventata il nuovo kingmaker del marketing digitale. E chi non se ne accorge, rischia di rimanere tagliato fuori da conversazioni che valgono parecchi euro.
La trasformazione digitale che nessuno aveva previsto
Pensateci un momento. Fino a ieri, per prenotare una vacanza a Barcellona dovevate fare decine di ricerche separate: voli, hotel, ristoranti, musei. Ogni ricerca era un’opportunità per i brand di intercettarvi. Oggi? Un utente chiede tutto a un assistente AI e riceve un itinerario completo. Una sola interazione invece di cinquanta touchpoint.
Praticamente il mercato ha subito una compressione temporale. I processi decisionali compressi sono la norma, non l’eccezione.
Ma attenzione – e qui sta il punto interessante… L’AI sta letteralmente valutando, inquadrando e raccomandando i brand prima ancora che i potenziali clienti clicchino su un link. È diventata un consulente che forma opinioni.
Nei contesti B2B la situazione è ancora più estrema. L’AI sta scrivendo le RFP, stabilendo i criteri di valutazione, creando le shortlist. Senza che i brand abbiano voce in capitolo.
Il framework Triple-P
Dopo aver analizzato migliaia di risposte generate dall’AI – e devo ammettere che inizialmente ero scettico sui risultati – è emerso un pattern chiaro.
Ho notato che esiste – molti consulenti l’abbiamo notato – una sorta di Framework Triple-P: Presenza, Percezione e Performance.
Non è l’ennesimo acronimo di marketing. È una mappa per sopravvivere in un ecosistema dove le regole del gioco cambiano ogni giorno.
Ma analizziamo le 3 parole di questo framework.
Presenza
Google detiene ancora l’89,71% del mercato, sì. Ma guardate questi numeri:
- ChatGPT: +19% di traffico mensile;
- Perplexity: +12%;
- Claude: +166% (incredibile, vero?);
- Grok: +266% nella fase iniziale.
La presenza di AI Overview è quasi raddoppiata da giugno 2024. Le funzionalità di confronto crescono del 70-90% nei settori B2B.
Ora, non fraintendetemi – Google resta il canale principale per il marketing enterprise. Ma ora non devi più solo posizionarti su Google. Devi apparire ovunque i modelli AI promuovano il tuo brand.
Facciamo un esempio concreto…
Nel settore e-commerce, tanto per dire, capita spesso che un responsabile marketing chieda all’intelligenza artificiale quali siano le “piattaforme di automazione email più efficaci”. La risposta che riceve non è neutrale: o il tuo tool viene descritto come all’avanguardia, o sparisce dal radar completamente. Non esistono posizioni intermedie.
Invisibilità significa eliminazione. È brutale, ma è così.
Percezione
Ecco il dato che mi ha colpito di più nella ricerca: solo il 30% delle menzioni dei brand generate dall’AI sono positive. Di queste, appena il 20% comprende raccomandazioni dirette.
È un campanello d’allarme assordante, soprattutto per chi gestisce brand consolidati.
Ma c’è di più – e questo aspetto è particolarmente frustrante per i professionisti del settore.
Anche quando il vostro brand appare nei risultati AI, il modo in cui viene inquadrato varia enormemente. Su un motore potreste essere leader del settore, su un altro completamente assenti.
I dati mostrano che i sistemi AI fanno una sorta di “media” dei segnali del brand sul web quando formano percezioni. Praticamente ogni touchpoint digitale diventa un voto in un’elezione permanente.
Per settore, ho notato pattern interessanti:
- Finanza: menzioni positive legate a contenuti su compliance e sicurezza;
- Healthcare: accuratezza e credibilità come fattori importanti;
- Retail: esperienza cliente e shopping al centro;
- Tech: innovazione e affidabilità dominano i criteri.
Performance
Arriviamo al paradosso più interessante.
Quando le AI Overview compaiono nei risultati, i tassi di click spesso diminuiscono fino al 50%. I nostri clienti inizialmente andavano nel panico.
Poi abbiamo scoperto che i tassi di conversione rimanevano generalmente elevati. L’AI stava qualificando i lead prima che raggiungessero i siti.
Stiamo entrando in un’era dove le impressioni saranno elevate, i click potrebbero diminuire, ma le conversioni aumenteranno. È controintuitivo, lo so. Ma i dati dicono così.
L’impatto varia per tipo di query:
- Query informative: meno click, conversioni stabili;
- Query commerciali: meno click, conversioni più alte;
- Query transazionali: meno click, conversioni molto più alte.
L’AI è particolarmente efficace nel qualificare l’intento commerciale.
Genera più traffico pronto all’acquisto.
Queste sono le metriche che contano davvero nell’AI
Qui arriviamo al nocciolo della questione – e devo ammettere che questo è uno degli aspetti che mi appassiona di più.
Dopo anni passati a ossessionarmi su CTR e posizionamenti, ora ci troviamo a dover reinventare completamente il nostro arsenale di metriche.
Le cinque metriche fondamentali per la ricerca AI sono molto diverse da quelle tradizionali, e vi spiego perché ciascuna è importante nel suo insieme:
- Il tasso di presenza AI misura quanto spesso il vostro brand compare nelle risposte dell’intelligenza artificiale quando gli utenti fanno domande nel vostro settore. Non è come il ranking tradizionale – qui o ci siete o non ci siete. Punto.
- Poi c’è l’autorità di citazione – forse la metrica più sottovalutata al momento. Non basta essere menzionati; bisogna essere citati come fonte principale, quella di riferimento. È la differenza tra essere “uno dei tanti” e essere “IL” brand che l’AI considera autorevole.
- La quota di conversazione AI è particolarmente interessante perché misura il vostro “patrimonio semantico” – quanto spazio occupate nel discorso dell’AI rispetto ai competitor. Consiste nella misurazione del share of voice, ma applicata alle macchine pensanti.
- L’efficacia immediata valuta quanto i vostri contenuti rispondono efficacemente alle domande in linguaggio naturale. Con questo punto mi riferisco alla capacità di soddisfare realmente l’intento dell’utente.
- Infine, la velocità di risposta alla conversione – quanto rapidamente i lead “pre-qualificati” dall’AI si trasformano in clienti effettivi.
L’importanza di apparire sulle ricerche AI
Quello che molti non hanno ancora capito è che la posizione all’interno delle risposte AI è importante esattamente come lo era nelle SERP tradizionali.
Forse di più.
Quando ChatGPT o Perplexity menzionano tre brand, essere il primo fa tutta la differenza del mondo.
Ma ecco il problema: i cicli di reporting mensili sono diventati obsoleti come i fax. I risultati AI possono cambiare nell’arco di poche ore. Ho visto brand sparire dalle citazioni dall’oggi al domani perché un concorrente aveva pubblicato uno studio più convincente.
È frustrante, lo so. Ma è la realtà.
I contenuti che l’AI ama citare
Dopo aver analizzato migliaia di citazioni AI – e credetemi, all’inizio pensavo fosse tutto casuale – sono emersi pattern molto chiari.
- I contenuti con copertura completa dominano. L’AI preferisce fonti che trattano un argomento a 360 gradi piuttosto che articoli iper specializzati. Praticamente l’intelligenza artificiale apprezza la completezza sopra ogni altra cosa.
- L’implementazione dei dati strutturati non è più opzionale. Le pagine con uno schema robusto hanno tassi di citazione significativamente più alti. L’AI riesce a “capire” meglio questi contenuti. Anche perché ha difficoltà con il JS.
- Poi c’è la validazione da parte di esperti – i contenuti con chiari segnali di autorevolezza (byline di esperti riconosciuti, affiliazioni istituzionali, track record dimostrabile) ricevono più citazioni. L’AI ha imparato a riconoscere l’expertise autentica.
- La distribuzione multiformato è ugualmente importante. Gli argomenti presentati attraverso testo, video, infografiche e visualizzazioni dati performano meglio. L’AI apprezza la ricchezza dell’informazione.
- Infine, l’inclusione di dati proprietari – ricerca originale, survey interne, dataset esclusivi – aumenta drammaticamente la probabilità di citazione. L’AI premia l’originalità sopra tutto.
Questi pattern suggeriscono che i sistemi AI sono diventati incredibilmente sofisticati nel distinguere contenuti realmente autorevoli da quelli semplicemente ottimizzati per i vecchi fattori di ranking.
È una distinzione sottile ma cruciale.
In questo articolo successivo spiego proprio questo punto:
strutturare i contenuti per la ricerca AI.
E qui sta la bellezza (e la sfida) di questo nuovo ecosistema: non si può più “truccare” il sistema con tecniche puramente SEO.
L’AI riconosce la sostanza. Finalmente.
5 strategie che la tua azienda potrebbe attuare per cavalcare il framework
1. SEO basata sulle entità (addio parole chiave frammentate)
Qui dobbiamo fare un cambio di mentalità radicale.
Dimenticatevi l’ottimizzazione per parole chiave isolate – quella roba appartiene al passato. L’AI dà priorità ai contenuti provenienti da entità note e affidabili.
I nostri dati sono chiari: i contenuti autorevoli hanno tre volte più probabilità di essere citati nelle risposte AI rispetto a pagine con focus specifico.
Ma cosa significa in pratica? Non devi più pensare al posizionamento della parola chiave “consulente AI“. Il tuo brand deve essere riconosciuto come l’entità autorevole nel mondo AI. L’AI deve associare automaticamente il tuo brand a quel settore.
Come ci si arriva? Bisogna partire da un audit delle entità – capire come i motori di ricerca percepiscono attualmente il vostro marchio. Poi occorre sviluppare mappe tematiche che coprano gli argomenti principali del vostro settore, non singole keyword isolate.
La parte tecnica richiede l’implementazione di uno schema basato sulle entità – dati strutturati che definiscono esplicitamente la relazione del vostro marchio con gli argomenti più importanti. E attenzione alla coerenza: nome, indirizzo, telefono (il famoso NAP) devono essere identici ovunque.
L’ultimo step? Coltivare connessioni autorevoli. Link e citazioni da autorità riconosciute nel settore. È qui che molti falliscono – pensano che basti la SEO tecnica.
2. Gestione proattiva della percezione
Ecco il dato che fa paura: il 70% delle menzioni brand nell’AI non sono esplicitamente positive.
Lasciare che l’AI formi opinioni casuali sul vostro brand significa giocare alla roulette russa con la reputazione aziendale.
I brand che implementano strategie proattive di gestione del sentiment vedono miglioramenti entro 60-90 giorni. Non è magia – è metodologia.
Si inizia monitorando il sentiment baseline dell’AI – quello che pensano attualmente di voi ChatGPT, Perplexity e compagnia bella. Poi si identificano le lacune tra percezione AI e posizionamento desiderato.
La parte interessante arriva dopo: bisogna affrontare le critiche in modo proattivo, creando contenuti che rispondano onestamente alle preoccupazioni comuni. Quindi occorre risolvere le obiezioni. Dovete fornire evidenze concrete dei vostri punti di forza.
Il vostro obiettivo deve essere quello di creare messaggi coerenti su tutti i touchpoint digitali. L’AI fa una media dei segnali che trova online – dovete controllare quei segnali.
3. Monitoraggio real-time delle citazioni
I cicli di reporting mensili sono diventati obsoleti come i telefoni a gettoni.
I risultati AI cambiano nell’arco di ore, non settimane.
Serve monitoraggio continuo delle citazioni AI – qualcosa che va ben oltre Google Search Console o i tradizionali tool di ranking.
In pratica significa monitoraggio continuo delle risposte AI per le query prioritarie su tutte le piattaforme. Ma anche alert quando i competitor guadagnano o perdono citazioni – informazioni che valgono oro per capire i trend.
Poi ci sono i test di variazione rapidi: analizzare come diverse formulazioni degli utenti influenzano l’inclusione del vostro brand. È un lavoro certosino ma necessario.
Non dimenticate di tracciare dove appare il vostro brand nelle risposte AI. Essere menzionati per primi non è la stessa cosa di essere citati alla fine di una lista.
4. Approccio multi-piattaforma integrato
Le aziende che adottano un approccio integrato tra ricerca tradizionale e diverse piattaforme AI ottengono ROI significativamente più elevati. Il futuro appartiene a framework di misurazione unificati.
Ma attenzione – non occorre aggiungere semplicemente nuovi tool al vostro stack. Serve una dashboard unificata che integri metriche SEO tradizionali con dati di citazione AI.
La parte complessa? Mappare le relazioni tra parole chiave tradizionali e prompt conversazionali dell’AI. Sono linguaggi diversi che parlano dello stesso business.
Bisogna anche analizzare i cambiamenti nelle fonti di traffico – monitorare come si sposta il volume tra ricerca diretta e traffico “mediato” dall’AI.
E poi segmentare per piattaforma AI, perché ChatGPT, Perplexity e Claude hanno logiche diverse. Quello che funziona su uno potrebbe non funzionare sugli altri.
L’obiettivo finale è collegare le metriche di presenza AI direttamente ai dati di conversione e fatturato.
Senza questa connessione, state solo giocando con i numeri.
5. Usare l’AI per vincere nell’AI
Qui c’è un’ironia che mi diverte: per battere l’AI, devi usare l’AI.
I brand che funzionano meglio con ChatGPT e compagnia cantante sono quelli che hanno già integrato l’intelligenza artificiale nel loro lavoro quotidiano.
Non sto filosofeggiando – i dati sono netti. Chi usa strumenti potenziati dall’AI vede miglioramenti del 60% nelle performance. E chi automatizza la ricerca di contenuti risparmia milioni di ore che può investire in strategia invece che in lavori manuali.
Invece di passare settimane a fare brainstorming su “cosa dovremmo scrivere?”, usi l’AI per scoprire automaticamente quali argomenti mancano nel tuo settore.
In pratica, funziona così: usi tool tipo Jasper, Copy.ai o anche ChatGPT o Claude e gli dai in pasto i contenuti dei tuoi top 10 competitor. L’AI analizza i gap tematici e ti restituisce una lista di argomenti che nessuno ha ancora coperto completamente.
Io uso questa query con Claude:
“Analizza questi 50 articoli del settore [X] e identificami 20 topic che sono sottorappresentati ma che gli utenti cercano frequentemente.” Funziona meglio di qualsiasi keyword research tradizionale.
Ma non fermarti a questo punto.
Usa l’AI per mappare l’intento semantico: chiedi di classificare ogni topic per search intent (informativo, commerciale, transazionale) e livello di funnel (awareness, consideration, decision). È un lavoro che prima richiedeva giorni, ora lo fai in un’ora.
Passiamo alla parte tecnica – e qui molti sbagliano. Devi strutturare i tuoi contenuti in modo che le macchine li capiscano facilmente. Non basta scrivere bene per gli umani; devi anche “parlare” il linguaggio delle macchine.
Primo step: implementa un dato strutturato su ogni pagina. Non il classico schema.org basic… vai oltre.
Ne ho parlato in questo articolo di dati strutturati avanzati.
Usa Organization markup per definire la tua entità, Person markup per gli autori, Article markup per i contenuti, e soprattutto AboutPage e ContactPage markup per consolidare la tua authority.
Esempio pratico di quello che uso:
json{
“@context”: “https://schema.org”,
“@type”: “Article”,
“headline”: “Titolo articolo”,
“author”: {
“@type”: “Person”,
“name”: “Nome Autore”,
“jobTitle”: “Esperto di [settore]”,
“worksFor”: {
“@type”: “Organization”,
“name”: “Nome Azienda”
}
},
“publisher”: {
“@type”: “Organization”,
“name”: “Nome Azienda”,
“sameAs”: [“URL social”, “URL LinkedIn”]
},
“mainEntity”: {
“@type”: “FAQPage”,
“mainEntity”: […]
}
}
Ora usa l’AI per generare automaticamente questi schema. Con uno script Python e OpenAI API puoi processare centinaia di pagine in poche ore.
La cosa più furba? Testa continuamente se i tuoi contenuti rispondono davvero alle domande che la gente fa all’AI.
Ecco il mio workflow: ogni settimana prendo 20-30 query del mio settore e le testo su ChatGPT, Claude, Perplexity e Gemini. Poi verifico:
- Il mio brand viene menzionato?
- In che posizione appare?
- Come viene descritto?
- Quali competitor vengono citati invece?
Per automatizzare questo processo, ho sviluppato uno script che usa le API di questi servizi (dove disponibili) per fare testing su scala. Con 100€ al mese di API calls riesci a monitorare migliaia di query.
Praticamente devi creare un database di prompt variations. La stessa ricerca può essere formulata in 10 modi diversi: “migliori software AI”, “software gestione clienti più efficaci”, “quale CRM scegliere per PMI”. Ogni variazione può dare risultati diversi.
E infine, ricorda sempre di spiare cosa fanno i competitor che vengono citati spesso dall’AI.
Uso questo metodo: identifico i 5 brand che appaiono più spesso nelle risposte AI del mio settore, poi analizzo i loro contenuti con tool appositi, ad esempio Clearscope o MarketMuse per capire:
- Quali entità semantiche usano di più;
- Che profondità di copertura hanno sui topic;
- Quali format performano meglio (liste, guide, case study);
- Che tipo di dati proprietari presentano.
Per esempio, ho scoperto che nel B2B SaaS, i brand più citati dall’AI hanno sempre almeno 3 elementi: case study con metriche specifiche, comparazioni dirette con alternative e sezioni FAQ che rispondono alle obiezioni comuni.
Poi replico questi pattern sui miei contenuti, ma li miglioro. Se loro hanno 5 case study, io ne metto 8. Se loro citano 3 alternative, io ne analizzo 7.
L’ultimo step è creare un sistema di feedback continuo.
Ogni mese lancio survey ai nostri clienti con domande: “hai mai cercato informazioni su [nostro prodotto] usando ChatGPT? Cosa ti ha risposto?”
Le risposte mi dicono esattamente come l’AI percepisce il nostro brand dal punto di vista degli utenti reali. È market research gratuita e super precisa.
Fa ridere il tutto… Usi l’intelligenza artificiale per capire come funziona l’intelligenza artificiale, che poi ti aiuta a essere trovato dall’intelligenza artificiale. Ma una volta che hai impostato questo sistema, diventa un vantaggio competitivo quasi impossibile da replicare.
Il futuro è AI-to-AI marketing
Nei prossimi due-tre anni, l’AI evolverà da assistente informativo a consulente di fiducia per valutazione, confronto e selezione fornitori.
Stiamo già vedendo i primi segnali di marketing AI-to-AI: team di procurement che usano agenti AI per automatizzare ricerca e verifica fornitori.
Le tendenze emergenti sono:
- Mercati gemelli digitali: interazione con versioni simulate delle soluzioni B2B;
- Compagni AI verticali: modelli specializzati per settori specifici;
- Acquisti tramite agente AI: sistemi autonomi che completano transazioni.
È fantascienza? Forse. Ma ricordate che ChatGPT sembrava fantascienza fino a due anni fa.
Il premio di fiducia nell’era AI
C’è un aspetto psicologico interessante: i consumatori tendono a fidarsi di più dei brand che già conoscono quando delegano decisioni all’AI. L’AI funziona come un bridge di fiducia.
Questo crea sia sfide che opportunità. I brand affermati devono proteggere il loro vantaggio. Quelli emergenti devono sviluppare strategicamente segnali di riconoscimento rilevabili dall’AI.
Iniziare oggi, non domani
La rivoluzione della ricerca AI non sta arrivando. È già qui.
Se dovessi suggerire da dove iniziare:
- Audit della presenza AI: scoprite dove appare il vostro brand nelle risposte AI;
- Analisi del sentiment: valutate come venite rappresentati nei contenuti generati;
- Collegamento metriche-business: monitorate la relazione tra presenza AI e conversioni;
- Gap analysis dell’entità: confrontate come l’AI comprende il vostro brand vs. posizionamento desiderato;
- Monitoraggio real-time: implementate sistemi per monitorare cambiamenti istantanei.
I brand che adottano il Framework Triple-P oggi saranno quelli che l’AI consiglierà domani.
E credete a me – in un mondo dove l’AI decide chi vale la pena considerare, non volete essere dimenticati.