Creare contenuti su larga scala con l’intelligenza artificiale sembrava la soluzione perfetta.
Cinquantamila pagine generate automaticamente, milioni di impressioni, centinaia di clic. Il sogno di ogni imprenditore o esperto marketing, no? Invece si è trasformato nel peggior incubo SEO che questo utente potesse immaginare.
Miquel Palet, fondatore di quello che ora si chiama Tailride, ha raccontato su LinkedIn la sua esperienza con la SEO programmatica. Una di quelle storie che ti fanno venire i brividi e ti ricordano perché a volte le scorciatoie portano dritti in un burrone.
La sua confessione è stata brutale:
“Google ha segnalato il nostro dominio. Le pagine hanno iniziato a essere deindicizzate. Il traffico è crollato da un giorno all’altro.”
E poi la parte che mi ha colpito di più:
“Abbiamo imparato a nostre spese che le scorciatoie non sono scalabili in modo sostenibile.”
Il sogno proibito della scalabilità infinita
L’idea di creare contenuti su larga scala con l’intelligenza artificiale è seducente come un gelato alle 3 di notte quando sei a dieta. Tranne a Milano perché Sala ha vietato i gelati 😀
Sai che probabilmente non dovresti, ma la tentazione è fortissima.
Palet aveva fatto quello che molti hanno sognato di fare: utilizzare l’automazione basata sull’AI per creare decine di migliaia di pagine targeting frasi a coda lunga. Long tail keywords che nessuno cerca mai, ma che teoricamente potrebbero portare traffico.
È l’equivalente digitale di piantare 50.000 semi sperando che qualcuno germoglierà. Statisticamente dovrebbe funzionare, giusto? E inizialmente aveva funzionato. I numeri erano impressionanti: traffico, impressioni, clic. Tutto quello che un consulente SEO freelance vorrebbe vedere nei report per i clienti.
Ma Google aveva altri piani.
ChatGPT e la democratizzazione del disastro
Con l’esplosione di ChatGPT e altri strumenti che permettono di creare contenuti con l’intelligenza artificiale gratis, la tentazione di automatizzare tutto è diventata irresistibile. Ogni giorno vedo decine di post su come usare l’intelligenza artificiale per scrivere testi gratis, tutorial su come scrivere un prompt efficace con ChatGPT, guide per produrre centinaia di articoli al giorno.
È come essere tornati alla corsa all’oro del Far West, ma digitale. Tutti corrono verso la miniera, pochi si chiedono se l’oro è vero.
Ho visto personalmente cosa succede quando si abusa di questi strumenti di intelligenza artificiale. Un cliente mi aveva chiamato panico totale: aveva fatto generare 200 articoli da un’AI in una settimana. “È geniale,” mi aveva detto. “Domani mattina li pubblico tutti.”
Gli ho consigliato di aspettare, di testarne prima qualcuno. Mi ha risposto che ero “troppo conservativo” e che “non capivo il potenziale dell’AI”. Tre mesi dopo mi ha richiamato: il traffico era crollato del 80%. Google aveva praticamente cancellato il sito dai risultati.
Il mito dell'”intelligenza artificiale cattiva”
Una cosa interessante della storia di Palet è che non ha accusato l’AI in sé. Non ha detto “Google odia i contenuti creati con l’intelligenza artificiale” come fanno molti quando le cose vanno male. Ha ammesso che il problema era la qualità, non lo strumento.
“Il contenuto era scarso e probabilmente duplicato,” ha spiegato.
È una distinzione fondamentale che molti non capiscono. L’AI per creare contenuti può produrre materiale eccellente se usata correttamente. Il problema nasce quando la si usa come una macchina per sfornare salsicce – quantità invece di qualità.
Non puoi incolpare il martello se ti schiacci il pollice. Il martello non è cattivo, sei tu che non sai usarlo.
La SEO programmatica: benedizione o maledizione?
La SEO programmatica (pSEO) non è intrinsecamente malvagia.
Come ha fatto notare Joe Youngblood nei commenti al post di Palet, può essere una strategia valida “se applicata correttamente” e “sotto la supervisione di un consulente SEO esperto”.
Il punto è che la maggior parte della gente la applica malissimo.
Vedono tool per creare contenuti su larga scala con l’intelligenza artificiale e pensano “fantastico, ora produco 1200 articoli al giorno e divento ricco”. Comprare un pianoforte non ti rende automaticamente Chopin.
La pSEO funziona quando viene usata per automatizzare task ripetitivi ma utili:
- Generazione di meta description personalizzate;
- Ottimizzazione di alt text per migliaia di immagini;
- Creazione di pagine prodotto con template intelligenti;
- Aggiornamento automatico di informazioni dynamic.
Ma quando la usi per creare contenuti “fantasma” che esistono solo per intercettare long tail… beh, hai visto com’è finita Palet.
L’esperienza di Rasmus Sørensen: il reality check
Rasmus Sørensen, esperto di marketing digitale, ha commentato il post di Palet con una dose di sana realtà:
“La SEO Programmatica era stata pubblicizzata come la migliore alternativa alla SEO. Non lo è, e ho visto tanta spazzatura pubblicata negli ultimi mesi.”
Questo mi ha fatto pensare a tutte le volte che ho visto agenzie vendere “rivoluzionarie strategie di SEO Copywriting automatizzato” a clienti ingenui. Promesse di migliaia di pagine generate in poche ore, ranking garantiti, traffico esplosivo.
È il classico caso del “se sembra troppo bello per essere vero, probabilmente lo è”. Ma la fame di risultati veloci acceca il buon senso.
Come si esce dal disastro: la strada del pentimento
La parte più interessante della storia di Palet è il recovery.
Non ha fatto quello che fanno molti quando si rendono conto dell’errore: nascondere la testa sotto la sabbia e sperare che il problema sparisca da solo.
Ha preso una decisione drastica ma intelligente:
- Nuovo dominio;
- Redirect dal vecchio al nuovo;
- Focus su “meno pagine + più qualità”;
- Contenuti veramente utili per gli utenti.
È stato coraggioso e umile allo stesso tempo.
Coraggioso nell’ammettere l’errore pubblicamente, umile nel cambiare strategia completamente.
Il risultato? Il nuovo sito è tornato nell’indice di Google e sta recuperando terreno.
Non è stato facile, non è stato veloce, ma è stata la cosa giusta da fare.
Le lezioni che tutti dovremmo imparare
La storia di Palet dovrebbe essere una lettura obbligatoria per chiunque si avvicini all’AI per creare contenuti.
Non perché l’AI sia cattiva, ma perché ci ricorda alcuni principi fondamentali che rimangono validi anche nell’era dell’automazione.
- Qualità batte quantità, sempre. Cinquanta pagine eccellenti valgono più di cinquantamila pagine mediocri. Google lo sa, gli utenti lo sanno, tutti lo sanno. Tranne chi è accecato dalla febbre della scalabilità.
- Non esistono scorciatoie sostenibili. Puoi avere successo nel breve termine con tattiche furbe, ma prima o poi Google se ne accorge. E quando se ne accorge, non è clemente.
- L’automazione amplifica tutto. Se il tuo processo è buono, l’automazione lo rende fantastico. Se il tuo processo fa schifo, l’automazione lo rende un disastro su scala industriale.
Il futuro dell’AI nel content marketing
Non fraintendetemi: creare contenuti su larga scala con l’intelligenza artificiale ha un futuro brillante.
Ma quel futuro appartiene a chi usa l’AI come assistente intelligente, non come sostituto del cervello.
L’AI può aiutarti a:
- Fare ricerca più velocemente;
- Generare prima bozze da rifinire;
- Ottimizzare contenuti esistenti;
- Personalizzare contenuti per segmenti diversi.
Quello che non può fare (almeno non ancora) è:
- Capire veramente cosa vogliono i tuoi utenti;
- Creare connessioni emotive autentiche;
- Sostituire l’esperienza e l’intuizione umana;
- Garantire qualità senza supervisione.
Conclusione
La storia di Miquel Palet è un reminder importante: la tecnologia è uno strumento, non una soluzione magica.
Come creare contenuti con l’intelligenza artificiale gratis è una domanda sbagliata.
La domanda giusta è: come usare l’AI per creare contenuti migliori, più utili, più umani.
Il paradosso è che per usare bene l’intelligenza artificiale nel content marketing, devi essere molto… umano. Devi capire il tuo pubblico, i suoi problemi, le sue aspettative. Devi avere gusto, senso critico, empatia.
L’AI può accelerare il processo, ma non può sostituire il pensiero strategico. Può aumentare la produttività, ma non può creare valore dal nulla.
Forse è questa la vera lezione della storia di Palet: nell’era dell’automazione, l’elemento umano diventa ancora più prezioso, non meno.